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Berlino – Ritratto di una metropoli
Judith Hermann e la Berlino degli anni ’90: una scrittrice, la sua generazione la sua città
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Ancora non si era intuito, che si apparteneva ad una generazione, per la quale purtroppo l’intera vita perfino di un lunedì, era come l’inerte immobilità di un freddo pomeriggio domenicale.
Sì, non si era assolutamente intuito, che si apparteneva ad una generazione. Le preoccupazioni erano altre: mai, così si diceva, voglio avere una simile acne come i cantanti di Alphaville…[1]
La consapevolezza del nostro stile si rende percettibile particolarmente in quelle sfere, nelle quali c’è realmente del superfluo (…) Poi abbiamo imparato dagli italiani non semplicemente ad ordinare acqua con il vino, ma decisamente San Pellegrino.
È così che la nostra generazione ancora non ha nessuna idea su Gerhard Schröder, bensì sull’acqua…[2]
In tal modo ben nutriti, per il resto pienamente disorientati la nostra intera generazione di nati tra il 1965 e il 1975 si avvicinò lentamente agli anni novanta. Ma in qualche modo senza dispiacercene.
Eravamo sì disorientati, ma nondimeno estremamente sicuri, che tutto alla fine, anche le grandi domande dell’umanità, sarebbero state risolte.
“Da dove vengo? E perché la mia Golf conosce la risposta?”…[3]
E’ interessante notare come tra i giovani un particolare itinerario diventi una moda generazionale, che nasce attraverso la lettura di libri, la visione di determinati film, ma anche grazie a musica, foto, pittura e architettura: è ben noto il ruolo dei pittori per la costa della Normandia, degli autori spagnoli esiliati a Londra, sostituiti in seguito dai viaggiatori. Non si può trascurare il ruolo di persuasore che qualche film importante ha potuto avere: sarebbe il caso delle pellicole di Woody Allen per New York, la Roma della dolce vita di Fellini, la Parigi di Louis Malle, la Londra di Notting Hill e About a boy. La Vienna di fine secolo, la Praga di Kafka, la Parigi degli esistenzialisti e della “generazione perduta”, la Berlino degli espressionisti, la Londra degli anni sessanta, la New York della beat generation, di Jack Kerouac, Allen Ginsberg e del jazz di Charlie Parker, la Cuba del Buena Vista Social Club, sono alcuni dei pochi esempi che mi piace riportare. A Roma, a Madrid, a New York, ad Amburgo, in ogni città c’è sempre qualcosa che ci attrae, che ci stimola al viaggio, il fenomeno musicale di Umbria Jazz della Perugia contemporanea, ad esempio, e in questo libro la Berlino del dopo Muro, in altre parole la Berlino del nuovo millennio. Attraverso la storia, la letteratura, la cinematografia, l’architettura, la pittura, il teatro, la musica, possiamo conoscere le caratteristiche, i contenuti, i tratti salienti di una società
… I poemi omerici, la cui cultura visiva, linguistica, e soprattutto sintattica, appare tanto più elaborata, sono invece relativamente semplici nella raffigurazione dell’uomo, e in genere anche nel loro rapporto con la realtà della vita che descrivono (…) Fra battaglie e passioni, avventure e pericoli, ci mostrano cacce e banchetti, palazzi e abituri di pastori, gare e giorni di bucato, sicché osserviamo gli eroi nella loro vita d’ogni giorno, e osservandoli possiamo rallegrarci nel constatare come godano questa loro vita in atto, saporosa e colorita, leggiadramente inserita nei loro costumi, nel paesaggio, nelle cure quotidiane. E così essi ci incantano e ci attraggono e noi viviamo nella realtà della vita loro…[4]
E siccome Judith Hermann non colloca “la letteratura in quella terra di nessuno che è l’isolamento estetizzante”[5] e “utilizza un linguaggio che, scarno come la realtà quotidiana, si attaglia alla misura del nudo comunicato”[6], possiamo immaginarci di sentire l’odore di Berlino e osservare la gente; vagare per il quartiere industriale sulla sponda della Sprea; salire le scale al secondo piano, la ringhiera divelta e gli scalini scricchiolanti di un palazzo grigio, tra un’autodemolizione e una fabbrica; osservare i ragazzi turchi che giocano a pallone mentre le donne spellano i polli; andare fuori città, nelle casette misere e storte, che recano sulle staccionate di legno marcio la scritta “Berlinesi fuori!”; varcare la porta di un atelier con una devozione quasi sacrale; lavorare come elettricista ai concerti; ascoltare le letture di giovani scrittori; attraversare Berlino in lungo e largo in taxi e avere una musica diversa, Ween per le strade statali, Dawid Bowie per il centro storico, Bach per i vialoni, Trans-Am soltanto per l’autostrada e quando si ha voglia, lasciare tutto e trascorrere il capodanno a Praga. Insomma una scrittrice che con le sue frasi brevi, semplici e “concrete” ha dato voce alla sua generazione, apolitica, indifferente alla realtà che la circonda come una ragazza che siede così, leggendo il giornale in attesa di lasciarsi trascinare da avvenimenti casuali, come la telefonata di un vecchio amante, che la porta con sé a Canitz per mostrarle una possibilità, “una delle tante. La puoi realizzare oppure lasciar perdere. Io posso realizzarla oppure troncare e andare da qualche altra parte. Possiamo realizzarla insieme oppure far finta che non ci siamo mai conosciuti. Non ha importanza. Volevo soltanto fartela vedere, tutto qua”[7]. Oppure come un aspirante artista: “faceva molto caldo, e io passai ore e ore in camera disteso nudo sul pavimento a fissare il soffitto. Non ero inquieto, né irritato, ero stanco e mi trovavo in un bizzarro stato di apatia”[8].
Con la guerra in Bosnia, fu definitivamente chiaro che il mondo era troppo complicato perché si potesse intraprendere qualcosa a favore o contro…[9] (…) La “Generazione Golf” ha da subito imparato che ciò è troppo faticoso. Dice: io voglio rimanere come sono…[10]
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[1] Florian Illies, Generation Golf, eine Inspektion, Fischer, Frankfurt am Main, 2003; pag. 16
[2] Ibidem; pag. 152-53
[3] Ibidem; pag. 18/19
[4] Erich Auerbach, Mimesis, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2000, pag. 15, Volume primo.
[5] Frase di Žmegač in: Žmegač Škreb Sekulić, Breve storia della letteratura tedesca, Biblioteca Studio Einaudi, Torino, 1995, pag. 402
[6] Ibidem, pag. 402
[7] Judith Hermann, Sommerhaus, später, Fischer Verlag, Frankfurt am Main, 2000, pag, 152 (traduzione di Barbara Griffini)
[8] Ibidem, pag. 63
[9] Florian Illies, Generation Golf, eine Inspektion, Fischer, Frankfurt am Main, 2003; pag. 164-65
[10] Ibidem, pag. 188
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JUDITH HERMANN E LA BERLINO DEGLI ANNI ’90: UNA SCRITTRICE, LA SUA GENERAZIONE LA SUA CITTÀ
Emilio Esbardo, in questo libro, attraverso i racconti di Judith Hermann, una delle scrittrici contemporanee di maggior successo in Germania, descrive la nuova generazione di autori tedeschi e il periodo storico di Berlino, negli anni immediatamente prima e dopo la caduta del Muro.
L’autore si è trasferito a Berlino nel marzo del 2006, premiato con una borsa di studio DAAD (servizio tedesco per lo scambio accademico), per scrivere la sua tesi sulla città.